MAFFEZZONI CLAUDIO
In Memoriam
Claudio Maffezzoni (1946-2005).
Claudio Maffezzoni cominciò a frequentare, come borsista, il Dipartimento di Elettronica del Politecnico nel 1970. Aveva appena concluso gli studi d’ingegneria con un lavoro sulla stabilità delle oscillazioni nei sistemi non lineari. Dopo quattro anni di disagevole, ma purtroppo non inconsueto precariato, decise di lasciare l’università, senza tuttavia abbandonare la ricerca scientifica. Fu infatti assunto al Centro Ricerche di Automatica (CRA) dell’ENEL, dove i suoi talenti e la sua personalità scientifica ebbero modo di esprimersi compiutamente e di fargli raggiungere in pochi anni una precoce maturità sotto la guida di Giorgio Quazza: un maestro che lasciò nel suo modo d’intendere la ricerca, e forse anche alcuni aspetti della vita, un’impronta profonda e indelebile, ancorché non appariscente. Un’impronta che non sfuggiva, però, a chi ebbe la fortuna di conoscere entrambi. Al Politecnico, Giorgio teneva, in quegli anni, un corso di Controllo dei processi, da lui creato con l’obiettivo, originale ed intellettualmente impegnativo, di connotare anche il versante applicativo dell’Automatica con un carattere rigorosamente scientifico.
Quando nel 1978 Giorgio Quazza perse prematuramente la vita in un tragico incidente alpino, Claudio Maffezzoni ne raccolse la difficile eredità di docente assumendosi la responsabilità del corso di Controllo dei processi: responsabilità che da allora mantenne sempre, fino all’insorgere e al prevalere del male che lo spense. Questo anche a testimonianza del filo ininterrotto che lo teneva legato al Politecnico e a persone del Dipartimento di Elettronica, più tardi denominato Dipartimento di Elettronica e Informazione (DEI).
Dopo aver vinto nel 1984 un concorso per professori di prima fascia, Claudio fu chiamato al Politecnico come professore ordinario di Controllo dei processi. Questo segnò il suo definitivo rientro all’università. Dal Controllo dei processi, la sua attenzione si era nel frattempo progressivamente estesa a tutti i principali versanti delle applicazioni industriali dell’Automatica; in particolare, all’Automazione industriale e alla Robotica. Il suo impegno di formazione dei giovani alla ricerca, già iniziato al CRA, divenne predominante e, con i primi allievi, prese l’avvio un percorso che vedeva, come successivo traguardo, la creazione di una scuola, complementare a quanto già esisteva in dipartimento e particolarmente mirata ad intensificare i rapporti con la realtà industriale: italiana ed internazionale.
Questa scuola, e precisamente gli allievi che la incarnano e la rappresentano nella vita professionale e ancor più nella docenza universitaria, è senza dubbio una pietra angolare dell’eredità che egli ha lasciato al Politecnico e, più precisamente, al Dipartimento di Elettronica e Informazione. Alcuni tratti salienti del suo insegnamento sono ricordati così dai suoi allievi: “Claudio ci ha insegnato che nulla aiuta di più a comprendere il funzionamento dei sistemi, a discernere l’essenziale dall’accessorio, quanto scriverne ed analizzarne un modello matematico”; anche nell’impartire un’istruzione sostanzialmente tecnica, egli tendeva a “formare le persone secondo principi che hanno nell’onestà intellettuale, nel rigore metodologico e nel bilanciamento tra aspetti teorici ed aspetti applicativi i propri capisaldi”. La sua produzione scientifica - varia, di livello elevato e singolarmente priva di ridondanze - gli ha meritato un’ampia visibilità internazionale e prestigiosi riconoscimenti. Il riverbero di questo prestigio ha naturalmente riguardato anche l’università e il dipartimento di appartenenza, che contribuì a dirigere, nella veste di Vice-Direttore, dal 1993 al 1996.
Oltre ai nuovi corsi (Automazione industriale, Ingegneria e tecnologie dei sistemi di controllo, Robotica industriale, Tecniche e strumenti di simulazione) che furono via via attivati per sua iniziativa o con il supporto determinante del suo patrocinio, chi scrive non può dimenticare l’occasione di vicinanza e d’unità d’intenti creata dal coinvolgimento in progetti pluriennali, ritenuti necessari ad un equilibrato sviluppo, presso il Politecnico di Milano, delle attività didattiche e di ricerca connesse all’automazione. Con una visibilità assai meno rilevante di quanto il ruolo da lui effettivamente svolto avrebbe potuto comportare, rese possibile la ricostituzione presso il DEI del Laboratorio di Automatica dedicato alla ricerca applicata in questo settore e, poco più tardi, contribuì in modo essenziale al buon esito del lungo lavoro preparatorio che portò all’avvio, presso il Politecnico, del Corso di Studi in Ingegneria dell’Automazione. Soprattutto, l’impianto del Corso di laurea di primo livello porta indelebile il segno della sua esperienza.
Orgoglioso delle sue origini semplici, Claudio non amava limare le parole: a volte, un’apparente ruvidezza e la schiettezza istintiva lasciavano trasparire il riflesso di un’insospettabile timidezza. Nei rapporti professionali non era incline ad usare il termine amicizia. Pure attribuiva un valore incalcolabile ai sentimenti autentici, a cominciare da quelli familiari. Anche per questo ha lasciato un vuoto che certo non è estraneo alla sua eredità, ed è difficile da colmare.
Claudio Maffezzoni cominciò a frequentare, come borsista, il Dipartimento di Elettronica del Politecnico nel 1970. Aveva appena concluso gli studi d’ingegneria con un lavoro sulla stabilità delle oscillazioni nei sistemi non lineari. Dopo quattro anni di disagevole, ma purtroppo non inconsueto precariato, decise di lasciare l’università, senza tuttavia abbandonare la ricerca scientifica. Fu infatti assunto al Centro Ricerche di Automatica (CRA) dell’ENEL, dove i suoi talenti e la sua personalità scientifica ebbero modo di esprimersi compiutamente e di fargli raggiungere in pochi anni una precoce maturità sotto la guida di Giorgio Quazza: un maestro che lasciò nel suo modo d’intendere la ricerca, e forse anche alcuni aspetti della vita, un’impronta profonda e indelebile, ancorché non appariscente. Un’impronta che non sfuggiva, però, a chi ebbe la fortuna di conoscere entrambi. Al Politecnico, Giorgio teneva, in quegli anni, un corso di Controllo dei processi, da lui creato con l’obiettivo, originale ed intellettualmente impegnativo, di connotare anche il versante applicativo dell’Automatica con un carattere rigorosamente scientifico.
Quando nel 1978 Giorgio Quazza perse prematuramente la vita in un tragico incidente alpino, Claudio Maffezzoni ne raccolse la difficile eredità di docente assumendosi la responsabilità del corso di Controllo dei processi: responsabilità che da allora mantenne sempre, fino all’insorgere e al prevalere del male che lo spense. Questo anche a testimonianza del filo ininterrotto che lo teneva legato al Politecnico e a persone del Dipartimento di Elettronica, più tardi denominato Dipartimento di Elettronica e Informazione (DEI).
Dopo aver vinto nel 1984 un concorso per professori di prima fascia, Claudio fu chiamato al Politecnico come professore ordinario di Controllo dei processi. Questo segnò il suo definitivo rientro all’università. Dal Controllo dei processi, la sua attenzione si era nel frattempo progressivamente estesa a tutti i principali versanti delle applicazioni industriali dell’Automatica; in particolare, all’Automazione industriale e alla Robotica. Il suo impegno di formazione dei giovani alla ricerca, già iniziato al CRA, divenne predominante e, con i primi allievi, prese l’avvio un percorso che vedeva, come successivo traguardo, la creazione di una scuola, complementare a quanto già esisteva in dipartimento e particolarmente mirata ad intensificare i rapporti con la realtà industriale: italiana ed internazionale.
Questa scuola, e precisamente gli allievi che la incarnano e la rappresentano nella vita professionale e ancor più nella docenza universitaria, è senza dubbio una pietra angolare dell’eredità che egli ha lasciato al Politecnico e, più precisamente, al Dipartimento di Elettronica e Informazione. Alcuni tratti salienti del suo insegnamento sono ricordati così dai suoi allievi: “Claudio ci ha insegnato che nulla aiuta di più a comprendere il funzionamento dei sistemi, a discernere l’essenziale dall’accessorio, quanto scriverne ed analizzarne un modello matematico”; anche nell’impartire un’istruzione sostanzialmente tecnica, egli tendeva a “formare le persone secondo principi che hanno nell’onestà intellettuale, nel rigore metodologico e nel bilanciamento tra aspetti teorici ed aspetti applicativi i propri capisaldi”. La sua produzione scientifica - varia, di livello elevato e singolarmente priva di ridondanze - gli ha meritato un’ampia visibilità internazionale e prestigiosi riconoscimenti. Il riverbero di questo prestigio ha naturalmente riguardato anche l’università e il dipartimento di appartenenza, che contribuì a dirigere, nella veste di Vice-Direttore, dal 1993 al 1996.
Oltre ai nuovi corsi (Automazione industriale, Ingegneria e tecnologie dei sistemi di controllo, Robotica industriale, Tecniche e strumenti di simulazione) che furono via via attivati per sua iniziativa o con il supporto determinante del suo patrocinio, chi scrive non può dimenticare l’occasione di vicinanza e d’unità d’intenti creata dal coinvolgimento in progetti pluriennali, ritenuti necessari ad un equilibrato sviluppo, presso il Politecnico di Milano, delle attività didattiche e di ricerca connesse all’automazione. Con una visibilità assai meno rilevante di quanto il ruolo da lui effettivamente svolto avrebbe potuto comportare, rese possibile la ricostituzione presso il DEI del Laboratorio di Automatica dedicato alla ricerca applicata in questo settore e, poco più tardi, contribuì in modo essenziale al buon esito del lungo lavoro preparatorio che portò all’avvio, presso il Politecnico, del Corso di Studi in Ingegneria dell’Automazione. Soprattutto, l’impianto del Corso di laurea di primo livello porta indelebile il segno della sua esperienza.
Orgoglioso delle sue origini semplici, Claudio non amava limare le parole: a volte, un’apparente ruvidezza e la schiettezza istintiva lasciavano trasparire il riflesso di un’insospettabile timidezza. Nei rapporti professionali non era incline ad usare il termine amicizia. Pure attribuiva un valore incalcolabile ai sentimenti autentici, a cominciare da quelli familiari. Anche per questo ha lasciato un vuoto che certo non è estraneo alla sua eredità, ed è difficile da colmare.