SOMALVICO MARCO
In Memoriam
Marco Somalvico (10.10.1941-17.11.2002).
Marco Somalvico è scomparso improvvisamente il 17 novembre del 2002 all’età di 61 anni. Marco si era laureato al Politecnico di Milano ed era diventato nel 1980 professore ordinario di intelligenza artificiale nello stesso ateneo.
Marco è stato uno dei pionieri dell’intelligenza artificiale e della robotica in Italia. Nel 1973 ha fondato il Laboratorio di Intelligenza Artificiale e Robotica (AIRLab) al Politecnico di Milano per supportare le attività dei ricercatori e docenti nei settori dell'intelligenza artificiale, dall'apprendimento automatico, della robotica e della percezione delle macchine. Nel 1998 ha ricevuto il Premio Internazionale Joseph Engelberger Robotics Award. È stato il primo delegato rettorale per la disabilità del Politecnico di Milano, e all’uso delle tecnologie innovative a supporto della disabilità ha dedicato anche parte della sua ricerca. Ha organizzato l’edizione del 1987 della International Joint Conference on Artificial Intelligence (IJCAI), la maggiore conferenza internazionale nell’ambito dell’intelligenza artificiale, svoltasi a Milano. Inoltre, è stato fra i soci fondatori della Società Italiana di Robotica Industriale (SIRI) nel 1975 e della Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AI*IA) nel 1988.
Marco ha contribuito a formare generazioni di studenti, molti dei quali sono a loro volta diventati docenti e ricercatori. Ha condotto la sua ricerca in vari ambiti, come i metodi per la risoluzione automatica dei problemi, il riconoscimento del linguaggio naturale, i sistemi di visione, i sistemi a molti agenti intelligenti, i musei virtuali e la filosofia dell'intelligenza artificiale, con una visione e una lungimiranza che spesso gli hanno fatto precorrere i tempi. È stato inoltre un promotore dell’interdisciplinarietà, convinto sostenitore della necessità della contaminazione fra scienze umane e scienze ingegneristiche.
Marco già a partire dalla sua formazione aveva in sé elementi diversissimi che confluivano in lui in modo assolutamente originale. Si era formato al Politecnico di Milano e poi aveva trascorso tre anni a Stanford in California. E così la sua natura di comasco cattolico e studente modello si era scontrata con l’anarchia della California della fine degli anni sessanta. Non che questo impatto fosse stato traumatico. Anzi, gli piaceva raccontare come queste due nature apparentemente inconciliabili convivessero felicemente e come al suo arrivo in Califonia avesse sposato con entusiasmo il nuovo modo di vivere, senza abbandonare gli antichi valori.
A Stanford aveva lavorato con John McCarthy, uno dei fondatori dell’intelligenza artificiale, e con i suoi collaboratori. Da questa esperienza triennale, da questo viaggio nella “macchina del futuro” come lui chiamava gli Stati Uniti, era tornato carico di competenze e idee, pronto per ricoprire un ruolo pionieristico nell’intelligenza artificiale in Italia. In seguito aveva sempre ricordato a tutti i suoi allievi l’importanza di passare un periodo di formazione all’estero, sottolineando come questo fosse un modo di ricevere il più possibile dall’esperienza per poi portare a casa, rielaborando, nuove competenze professionali e nuovi stili di vita.
Negli ultimi anni oltre alle varie attività di ricerca cui si dedicava gli era venuto il “pallino della filosofia”: da studente modello quale era stato, la filosofia era una delle sue materie preferite e, come spesso accade, era stato incerto se continuare a studiarla all’università. Aveva preso un’altra strada, ma l’interesse era sempre rimasto. Non che avesse continuato a studiarla o che leggesse dei libri di filosofia, ma era affascinato dalla filosofia in sè, in quanto tale, dalla filosofia nella sua accezione più primitiva e forse più vera di attività critica capace di superare il senso comune per dare delle spiegazioni più profonde.
Chiunque l’abbia conosciuto ricorda l’originalità del suo carattere, i suoi modi impetuosi e l’entusiasmo nei confronti della conoscenza, strettamente uniti a una profonda umanità e a una capacità non comune di capire chi gli stava vicino.