
È stato pubblicato su Nature Sustainability l'articolo “Rethinking energy planning to mitigate the impacts of African hydropower”, di cui è coautore il Prof.Andrea Castelletti del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano. Lo studio presenta un nuovo quadro olistico a supporto di una pianificazione più sostenibile delle dighe in Africa.
I fiumi africani sono tra i più potenti al mondo: tra questi vi sono il Nilo, il più lungo, e il Congo, il più profondo. I fiumi africani sono incontaminati, meno frammentati e regolati dall’attività umana rispetto ai fiumi europei e nordamericani. Per questo motivo, fanno parte di ecosistemi estremamente ricchi di biodiversità. Allo stesso tempo, questi fiumi hanno consentito alle comunità locali di prosperare per migliaia di anni, supportando la coesistenza di sistemi umani e naturali. Tuttavia, questo delicato equilibrio potrebbe essere in pericolo.
L'energia idroelettrica africana contribuisce tra il 15% e il 20% dell'elettricità totale consumata nel continente e rappresenta la più importante fonte di energia rinnovabile, circa 10 volte più di quella solare e 5 volte più di quella eolica prodotte nel 2021. Data la crescente domanda di energia e l’esigenza di una maggiore affidabilità, l’energia idroelettrica, tradizionalmente percepita come un'opzione economica, affidabile e a zero emissioni, ha attirato l'interesse di governi e investitori. Tuttavia, data la rapida diminuzione dei costi di altre fonti di energia rinnovabili e gli effetti del cambiamento climatico sulla disponibilità di acqua, molti progetti idroelettrici proposti hanno visto una riduzione della loro redditività economica.
Questo perché i progetti idroelettrici sono stati valutati rispetto ad altre fonti di energia rinnovabile sulla base di considerazioni puramente tecno-economiche. Se da un lato alcuni progetti idroelettrici possono migliorare le prospettive energetiche di una regione, dall'altro possono alterare in modo sostanziale l'ecosistema nel quale vengono realizzati. Inoltre, ogni volta che vengono costruiti nuovi bacini, la biomassa disponibile nei terreni inondati e portata al bacino può essere digerita per produrre emissioni di gas serra, soprattutto metano. Come dimostrato da precedenti ricerche, la rilevanza di queste emissioni per il clima globale aumenterà con la decarbonizzazione del settore energetico.
Date queste interconnessioni tra energia per lo sviluppo socioeconomico, conservazione dell'ecosistema e mitigazione dei cambiamenti climatici, il problema richiede una prospettiva olistica. Ecco perché un team di scienziati del Politecnico di Milano e dell'Università di Stanford ha deciso di costruire un modello di simulazione per esplorare un possibile equilibrio tra questi differenti fattori, al fine di supportare la pianificazione delle dighe in un modo che sia vantaggioso per gli esseri umani e meno dannoso per la natura.
Sebbene una percentuale compresa tra il 40% e il 68% della capacità idroelettrica proposta sia economicamente sostenibile in Africa, essa aumenterebbe la frammentazione fluviale media e le emissioni dei bacini di circa il 50% e il 30%, rispettivamente. La sfida è capire quanta parte dell'energia idroelettrica proposta possa essere sostituita con altre fonti di energia per ridurre questo impatto negativo. Lo studio esamina quindi i possibili compromessi tra questi tre obiettivi per trovare la miglior soluzione possibile e ridurre in modo sostanziale questo impatto senza incidere significativamente sui costi. In particolare, la ricerca ha rilevato che le emissioni dei bacini e l'impatto della frammentazione fluviale possono essere ridotti di almeno il 50% con un impatto trascurabile sui prezzi dell'elettricità e sui costi totali. Ciò significa che, integrando considerazioni tecnico-economiche, ambientali e climatiche, è necessario realizzare al massimo il 50% della capacità energetica proposta.